IL
BENDAGGIO ELASTOCOMPRESSIVO NEL LINFEDEMA
Attilio Cavezzi
FISIOPATOLOGIA DEL LINFEDEMA
L'edema di natura linfatica costituisce una patologia piuttosto frequente, soprattutto
nell'ambito della più generica flebolinfostasi, propria di moltissime affezioni
degli arti inferiori e superiori.
Il sistema venoso e quello linfatico collaborano, in quanto facenti parte di una
singola unità dal punto di vista fisiopatologico, al mantenimento dell'omeostasi
micro-macrocircolatoria dei tessuti.
Più specificamente potremmo dire che l'edema è sempre espressione di una saturazione
dei meccanismi di compenso propri del sistema linfatico, perchè sovraccaricato
(vedi la sindrome post-trombotica) o perchè funzionalmente o organicamente esso
stesso deficitario (1). Forse proprio per questo Casley-Smith afferma che, nell'ambito
della insufficienza venosa cronica degli arti inferiori , trattando il sistema
linfatico ci prendiamo carico della flebostasi (a prescindere dalla eventuale
necessità di una terapia eziologica, laddove indicata) (2).
Sicuramente la elastocompressione mediante bendaggi e tutori elastici costituisce
l'essenza di qualsivoglia ciclo terapeutico (di "attacco" e di mantenimento) del
linfedema degli arti inferiori o superiori.
Il poter esercitare una contropressione dall'esterno con una benda o con una calza-bracciale
contribuisce significativamente al riassorbimento ed alla evacuazione della componente
edematosa (idrico-proteica) tissutale, sulla base di molteplici effetti e funzioni
tipiche della compressione elastica nella stasi linfatica (come vedremo più avanti).
La caratteristica principale del linfedema, dal punto di vista della sua costituzione
chimico-fisica, è data dalla elevata concentrazione della quota proteica del fluido
stagnante. Solitamente sono riscontrabili in eccesso (con concentrazioni al di
sopra di 1 g/dl) macromolecole proteiche negli spazi intestiziali, cioè là ove
si determina l'accumulo edematoso a genesi linfopatica.
Inevitabilmente la presenza di queste macroproteine è in grado di richiamare acqua
dagli spazi endocapillari verso il versante extravasale (per la elevata pressione
oncotica generata dalle stesse molecole proteiche stagnanti), producendo una sorta
di sinergismo negativo; in questo modo viene in definitiva favorito l'instaurarsi
e il perpetuarsi dell'edema linfostatico.
Da questi primi cenni ci rendiamo subito conto di come la terapia del linfedema
debba sempre rivolgersi alla quota idrica, ma ancor più a quella proteica del
fluido stagnante; solo in questo modo è possibile mirare a risultati più lusinghieri,
ma soprattuto più duraturi.
Rimuovere esclusivamente la frazione idrica, ad esempio mediante diuretici, mediante
pressoterapia utilizzata isolatamente (di per sè in grado comunque di ottenere
una minima captazione delle proteine costituenti l'edema), o meccanismi analoghi,
significa ottenere un risultato transitorio, nonchè concentrare pericolosamente
le proteine nell'intestizio. Tutto ciò potrebbe comportare, sia dal punto di vista
fisiopatologico, che dal punto di vista clinico, il rischio di una fibrosi peggiorativa
del linfedema e la certezza di una sua recidiva .
Studi accurati (3) ci hanno dimostrato che le due metodiche terapeutiche più efficaci
sul recupero della componente proteica della linfostasi sono proprio il bendaggio
elastocompressivo e il drenaggio linfatico manuale (tecnica fisiokinesiterapica
di grande valore nella gestione di un paziente con flebo-linfedema). Dunque la
elastocompressione appare sotto questo punto di vista quanto di più utile per
la stasi linfatica.
L'edema di un arto sostanzialmente può dipendere: a) da un eccesso di liquidi
nell'interstizio (flebopatie ostruttive o da reflusso, insufficienza cardiaca
o renale, ipodisprotidemie e molteplici altre condizioni favorenti un accumulo
di liquidi nel tessuto intestiziale), oppure b) da un difetto di drenaggio linfatico
(alterazioni del sistema linfatico, con vero e proprio linfedema) per cui ristagnano
acqua e proteine.
Quindi il sistema linfatico è configurabile come una sorta di mediatore dell'omeostasi
idrico-macromolecolare dell'interstizio, dell'unità istangica più in generale.
Nel primo caso (a) ci troviamo di fronte ad una insufficienza linfatica di tipo
dinamico (ad alta portata linfatica), mentre nel secondo (b) si tratta di una
vera e proprio insufficienza meccanica (patologia organica o funzionale di linfonodi
e/o vasi linfatici), cioè a bassa portata. Il primo degli edemi sarà prevalentemente
ipoproteico, mentre l'edema da deficit di drenaggio linfatico, come già detto,
risulta essere iperproteico.
Più quadri edematosi possono comunque spesso intersecarsi, virando da una forma
all'altra e acquisendo connotati più o meno misti.
APPROCCIO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO AL LINFEDEMA DEGLI ARTI
Il linfedema degli arti inferiori riconosce una eziopatogenesi varia, mentre quello
localizzato a livello dell'arto superiore è comunemente di tipo secondario (post-mastectomia
+/- radioterapia).
Siamo soliti suddividere i linfedemi in primitivi e secondari in base alla loro
eziologia. Più in dettaglio riconosciamo :
- LINFEDEMI PRIMITIVI, cioè senza causa nota ed in cui il sistema linfatico presenta
comunque deficit organici (a-ipoplasie dei vasi e/o dei linfonodi, alterazioni
valvolari, ecc.) o funzionali; fra questi possiamo ulteriormente distinguere linfedemi
a) congeniti ( o connatali), di tipo eredo-familiare, già presenti alla nascita,
b) precoci , tipici dell'età puberale, c) tardivi, che compaiono solitamente oltre
i 30 anni di età;
- LINFEDEMI SECONDARI, cioè generati da una lesione organica dei vasi linfatici
e/o dei linfonodi (ostruzione, compressione, ablazione) o da una ipofunzionalità
degli stessi per causa specifica. Tra le eziologie più comuni ricordiamo: le neoplasie
infiltranti o compressive del sistema linfatico, le infezioni-infestazioni (ad
es. filaria), i traumi (inclusi quelli chirurgici ), la radioterapia, le osteo-artro-neuro-miopatie
limitanti la funzionalità linfo-venosa cardiopeta, le flebopatie avanzate.
La diagnosi di linfedema è sostanzialmente di tipo clinico, potendosi individuare
una stadiazione dello stesso in 5 fasi, dallo stadio I pre-clinico, a quello di
tipo II e III caratterizzato da un edema più o meno improntabile, reversibile
o meno con il decubito supino, sino agli stadi IV e V tipici della deformità (elefantiasi)
dell'arto linfedematoso, fibrotico e con atrofia muscolare conseguente, nelle
fasi terminali.
Accanto alla anamnesi ed all'esame clinico, oggi possiamo collocare una serie
di metodiche strumentali, invasive e non, in grado di coadiuvare il medico nel
raggiungimento di una diagnosi accurata e soprattutto nella gestione di una terapia
mirata e monitorata nel tempo.
Fra queste ricordiamo la linfoscintigrafia, la linfocromia, la linfografia (oggi
raramente praticata), l'eco-color-doppler (dalle molteplici valenze sul versante
flebo-linfatico), il laser-doppler, la TAC e finanche la Risonanza Magnetica.
A fronte di un quadro linfostatico si è attualmente inclini all'esecuzione di
un approccio terapeutico che deve essere globale ed integrato. Ciò sta a significare
che più metodiche terapeutiche possono e devono essere utilizzate, nell'ottica
di una sequenzialità ed un sinergismo ben preciso. Non si tratta dunque di sommare
matematicamente più armi terapeutiche, ma più coerentemente di utilizzarle con
logica ed articolata attitudine (4 ).
Un corretto ciclo terapeutico per il linfedema si basa, lo si è detto sopra, sul
drenaggio linfatico manuale (D.L.M.) e sulla elastocompressione, mediante bendaggi
in prima istanza, e tutori elastici nella fase di mantenimento dei risultati.
Entrando nello specifico, passiamo ad elencare un ipotetico schema di trattamento
per qualsivoglia edema veno-linfatico degli arti, fondato sempre sull'unione multiarticolata
di più metodiche di tipo fisico-riabilitativo.
I) Ab initio alla seduta di D.L.M. è affidato il compito primario di conseguire
un ammorbidimento dei tessuti imbibiti ed una riduzione dell'edema stesso. In
corso di terapia manuale è indicato l'utlizzo di polvere di cumarina, onde amplificare
l'azione antiedemigena; la stessa polvere (talco) di cumarina è inoltre ben associabile
in corso di pressoterapia, di elastocompressione con bendaggio o tutori elastici.
II) Immediatamente dopo il linfodrenaggio manuale (possibilmente mai applicata
isolatamente..) può intervenire la pressoterapia sequenziale (P.S.) ad aria, costituendo
così un binomio efficace sul riassorbimento della frazione liquido-proteica e
la sua veicolazione cardiopeta;
III) Il potenziamento e mantenimento dell'azione anti-edemigena espletata dalle
procedure sopra esposte, è conseguito per mezzo del bendaggio o del tutore elastico.
Il bendaggio elastoadesivo fisso o mobile interviene sostanzialmente in terza
battuta sull'arto già sottoposto al trattamento manuale e fisico; unitamente a
questa forma di elastocompressione è fondamentale, onde sfruttarne tutte le potenzialità,
eseguire una attività fisico-riabilitativa (anche la semplice deambulazione) che
possa amplificare gli effetti già noti del materiale più o meno elastico sulla
pompa muscolo-vascolare plantare e soprattutto del polpaccio (o dell'arto superiore
in toto).
La calza elastica o il bracciale elastico sono invece utilizzati prevalentemente
in una fase tardiva dell'approccio terapeutico, quando cioè si è già ottenuto
un consistente miglioramento del linfedema e delle eventuali turbe trofiche cutanee
associate.
IV) Il paziente affetto da un linfedema degli arti viene infine consapevolizzato
sulla ineluttabile cronicità della propria patologia, nonchè sulla necessità del
rigoroso rispetto delle regole igienico-sanitarie del caso (norme di igiene flebo-linfatica);
ci preme a questo proposito sottolineare come la semplice esecuzione a domicilio
di banali esercizi fisici "antistasi", soprattutto se sotto contenzione elastica
per mezzo di bendaggio (preferibilmente) o di tutori, sia in grado di apportare
un contributo importante alla stabilizzazione dei risultati o, almeno, alla minore
incidenza e rilevanza della recidiva edematosa e degli episodi flogistico-infettivi
(dannosissimi).
Un discorso diverso, ma altrettanto significativo ai fini del trattamento del
linfedema, merita il ruolo della terapia farmacologica (prevalentemente mediante
benzopironi, fra cui la cumarina in primis, quindi le rutine e la diosmina ),
e quello della microchirurgia derivativa e/o ricostruttiva del sistema linfatico.
L'azione farmacologica, come da dati di letteratura, si può affiancare al protocollo
fisico-riabilitativo potenziandone i risultati. I progressi della microchirurgia
hanno, per contro, fatto di questa opzione un passo importante e sempre più fruibile
nella risoluzione (o almeno nel miglior controllo) delle problematiche del paziente
linfedematoso.
Da questa breve esposizione dei cardini diagnostici e terapeutici della patologia
linfedematosa è quindi possibile evincere il compito fondamentale della elastocompressione,
e più specificamente del bendaggio, ai fini del conseguimento del risultato, altrimenti
difficile da ottenere e mantenere.
IL BENDAGGIO ELASTOCOMPRESSIVO : REGOLE GENERALI E IMPLICAZIONI TEORICO-PRATICHE
Essendo già state esposte nel dettaglio quelle che sono le leggi principali che
regolano la elastocompressione, ci limiteremo a fornire i concetti basilari utili
al confezionamento di un corretto bendaggio di un arto affetto da linfedema.
La già nota legge di Laplace (P = T/R nella formulazione valida per gli arti )
regola tutta la elastocompressione, sia essa mediante tutori elastici che attraverso
bendaggi. Da questa legge è possibile estrapolare alcuni concetti importanti nella
terapia elastocompressiva delle affezioni flebo-linfatiche.
Da subito si può precisare che un arto inferiore affetto da varici, da flebedema
puro o da trombosi venosa superficiale o profonda, mantiene nella stragrande maggioranza
dei casi il suo eumorfismo, vale a dire la sua forma orientativamente "a tronco
di cono". Questo rende ragione del fatto che il raggio di curvatura della superficie
cutanea (R) dell'arto inferiore sia quasi sempre crescente, cioè di valore quantitativamente
vieppiù maggiore a partire dalla caviglia sino all'inguine (fa eccezione la regione
del ginocchio).
A prescindere da determinate salienze (cresta tibiale, tendine di achille) o concavità
(logge retromalleolari), in generale a parità di Tensione (T) utilizzata per bendare
l'arto , l'incremento progressivo di R (dalla periferia dell'arto stesso sino
alla radice della coscia) rende ragione della diminuzione progressiva della Pressione
(P). Più semplicemente potremmo dire che in un arto eumorfico è possible utilizzare
una tensione della benda pressochè costante nel confezionare il bendaggo dal piede
verso l'alto: la natura anatomica stessa della gamba e della coscia comporteranno
una pressione di bendaggio gradualmente (o quasi) decrescente dalla periferia
verso il centro.
Quanto appena esposto non vale quasi mai in caso linfedema, lipedema o altre patologie
in cui l'arto inferiore perde la normoconformazione di base, rendendosi assimilabile
ad un cilindro (o comunque perdendo l'incremento progressivo del raggio di curvatura
della superficie cutanea dal piede verso l'inguine).
Dunque in soldoni si può affermare che nel linfedema è bene confezionare il bendaggio
con una tensione che sia maggiore alla base delle dita e progressivamente minore
risalendo verso l'alto.
Ancora più importante è la valenza della legge di Laplace con l'incremento o il
decremento localizzato della pressione di bendaggio, laddove voluto o laddove
inevitabile e indesiderato...
Sappiamo come, ad esempio, lungo la cresta tibiale, sul tendine di achille e in
certe porzioni del ginocchio sia possibile esercitare una compressione esagerata
con un bendaggio, pur eseguito con criterio.
Nel paziente con linfedema le pressioni di bendaggio sono piuttosto elevate (con
il movimento) e i rischi di lesioni iatrogene in queste zone risultano reali....
Può intervenire perciò, a questo proposito, l'armonizzazione di queste convessità
mediante supporti, spessori (in lattice, cotone, gommapiuma ecc.);
Dunque nel tipico bendaggio multistrato per linfedema, una particolare attenzione
"protettiva" andrebbe riservata a tali zone, così da ridurre possibili ischemizzazioni,
decubiti e analoghi effetti collaterali.
Nel momento in cui, al contrario, vogliamo esercitare una compressione maggiore
in determinati punti, vuoi perchè naturalmente concavi (e quindi poco influenzabili
dalla forza del bendaggio), vuoi per scelta terapeutica, sarà all'opposto necessario
ivi posizionare un supporto. Così, ad esempio, nelle lesioni ulcerative flebopatiche,
al di sopra dei tragitti varicosi sclerosati o "flebectomizzati", in corrispondenza
del tunnel safenico post-stripping, si può apporre del materiale da sotto-bendaggio
che sia in grado di ridurre il raggio di curvatura cutanea, proprio nella zona
che ci interessa comprimere con maggiore efficacia (bendaggio "eccentrico positivo").
Restringendo il nostro discorso al linfedema, possiamo provare a traslare quanto
appena esposto alla pratica clinica. E' esperienza comune rilevare nel paziente
portatore di un arto linfedematoso un importante coinvolgimento della regione
dorsale del piede (soprattutto nei linfedemi primitivi), ragion per cui possiamo
apporre un supporto di dimensioni congrue proprio in questa sede (o in altra,
particolarmente edematosa).
Un edema del dorso del piede può quindi richiedere il posizionamento in tale zona
di un dispositivo in gommapiuma o materiale analogo, avente uno spessore di uno
o più centimetri; in questo modo la tensione esercitata dalla benda (elastica
o anelastica) sarà massimale proprio laddove è massimo l'accumulo idrico-proteico,
e laddove il riempimento dei capillari linfatici e l'attività dei linfangioni
trae le prime importantissime mosse. Molti autori propongono d'altronde di esercitare
una tensione di bendaggio molto elevata soprattuto alla base delle dita del piede,
per lo stesso motivo, coadiuvando fra l'altro, in questo modo, anche la spinta
della pompa plantare.
Per il linfedema dell'arto superiore i concetti appena enunciati perdono parte
del loro significato, in virtù di una serie di considerazioni che vanno tenute
presenti.
Innanzitutto la conformazione dell'arto non comporta sempre una linearità nell'aumento
dei vari raggi di curvatura cutanea, la localizzazione dell'edema è piuttosto
varia (non sempre la mano è coinvolta) e va inoltre sottolineata la necessità
di una corretta pressione di riposo esercitata dal bendaggio; infatti l'attività
fisica dell'arto superiore, ancor più in simili pazienti, è minore rispetto a
quella dell'arto inferiore.
Infine non occorre dimenticare come la vicinanza dei fasci vascolo-nervosi rispetto
alla cute possa favorire i rischi di ischemizzazioni-stupori nervosi, per esempio
al polso e al gomito, o comunque la ridotta tolleranza da parte della paziente
per un bendaggio mal confezionato, costituiscono rilievi comuni nella pratica
routinaria...
Può risultare quindi importante, per quanto appena enunciato, la protezione e
l'omogeneizzazione dei raggi di curvatura dell'arto superiore linfedematoso mediante
un bendaggio multistrato, dotato di abbondante materiale che ammortizzi le diversità
e favorisca una compressione adeguata punto per punto.
Prima di concludere questo riassunto sulle norme generali del bendaggio finalizzato
al trattamento del linfedema, è possibile approfondire alcune ulteriori varianti
che possono interferire con il risultato finale.
Ricordiamo fra queste l'importanza della elasticità della benda: esistono bende
anelastiche (sostanzialmente estensibili sino al 40% del valore basale), bende
a ridotta elasticità , cioè con estensibilità massima del 70% rispetto alla lunghezza
basale, bende a media elasticità, cioè estensibili fra il 70 e il 140% , e infine
bende a grande elasticità, cioè con estensibilità sopra il 140%.
Nella pratica corrente della terapia compressiva per le patologie linfatiche,
solitamente le bende biestensibili vengono utilizzate in minore misura, preferendo
le monoestensibili per motivi fisici e logistici.
Non bisogna dimenticare, inoltre, come nel confezionamento di un bendaggio la
capacità dell'esecutore, medico o paramedico che sia, giochi un ruolo inevitabilmente
fondamentale. Ed ancora va sempre tenuto presente che nel posizionare più strati
(come tipicamente accade per il linfedema), o passando la benda più volte sulla
stessa sede, si interferisce con il valore della compressione , incrementandolo
in situ.
Tra i fattori implicati in questa metodica fisica rientra anche l'altezza della
benda utilizzata, che costituisce una variante da prendere in considerazione nell'applicazione
pratica della elastocompressione mediante bendaggio. Si è soliti dire che l'utilizzo
di una benda più bassa tende a comportare pressioni di bendaggio maggiori rispetto
alla benda più alta, per motivi di ordine fisico.
Una ultima considerazione deve essere infine riservata alla diversa pressione
che un bendaggio è in grado di esercitare, in dipendenza dello stato di contrazione
muscolare o meno dell'arto; si è soliti infatti distinguere una pressione di lavoro
ed una pressione di riposo.
Le bende anelastiche non hanno praticamente pressione di riposo, mentre bassa
è la pressione di riposo per quelle a ridotta elasticità, alta è la stessa pressione
di riposo per le bende ad elevata elasticità. All'opposto la pressione di lavoro
è notoriamente massimale per le bende non elastiche, molto elevata per le bende
poco distensibili e invece minore per le bende ad elevata estensibilità.
Ci sembra doveroso sottolineare come nel linfedema sia fondamentale avere una
pressione di riposo non troppo alta, essendo spesso la contenzione multistrato,
articolata e quindi basata spesso su un bendaggio fisso (prevalentemente elastoadesivo),
non rimuovibile per la notte.
Una elevata pressione di riposo potrebbe da un lato contribuire a mantenere una
certa azione compressiva anche ad arto immobile (favorendo l'ammorbidimento e
la riduzione dell'edema, soprattutto nelle fasi di attacco), dall'altro impone
un controllo della compliance del paziente, della tollerabilità di una simile
struttura compressiva, solitamente mal sopportata dal paziente allettato e comunque
più a rischio per lesioni cutanee.
Circa la pressione di lavoro, cioè esplicata dal bendaggio sul fascio vascolare
veno-linfatico (soprattutto quello sottofasciale) nel momento della contrazione
muscolare, si è soliti ricercare la massima attività compressiva incitando l'esercizio
fisico ed utilizzando quindi prevalentemente bende a ridotta-media elasticità,
o anelastiche in casi specifici.
Memori del fatto che la maggior parte del contingente linfatico decorre nel settore
soprafasciale dell'arto, si dovrebbe comunque provvedere al confezionamento di
un bendaggio (anche per questa ragione preferibilmente multistrato) che possa
"lavorare" bene anche in superficie (caratteristica tipica di una benda ad elasticità
media).
Einarsson (5) ha sinteticamente riprodotto in un formula buona parte dei concetti
fin qui esposti, specificando che : P = Tn/rA, dove le nuove variabili n ed A
stanno ad indicare rispettivamente il numero degli strati ed A l'ampiezza della
benda utilizzata.
Sempre Einarsson, per finire, ha indicato come un bendaggio debba idealmente possedere
alcuni requisiti, al fine di risultare efficace, duraturo e accettabile da parte
del paziente.
In caso di linfedema, ad esempio, questi requisiti acquisiscono una importanza
tutta particolare, dovuta alla "sconfortante" ricorrenza della patologia, alla
necessità di elevate pressioni, alla lunga durata di una simile terapia elastocompressiva
e alla sua valenza estremamente positiva ( o negativa, se mal confezionato) con
il trattamento in toto.
Fra queste caratteristiche ideali citiamo: a) la riproducibilità e l'efficacia
del livello di compressione, b) la graduale decrescenza della pressione in senso
disto-prossimale, c) la durabilità dell'azione compressiva (scopo alquanto difficile
da raggiungere per bendaggi mantenuti in situ per molti giorni), d) l'assenza
di scivolamenti delle bende, e) il comfort e l'accettabilità da parte del paziente,
che non deve subire effetti collaterali (dolore in primis), nè restrizione dei
propri movimenti .
Un simile bendaggio si presenta come difficilmente realizzabile, essendo d'altronde
ogni paziente affetto da linfedema un universo di problematiche cliniche piuttosto
complesso.
Infatti l'entità dell'edema linfatico, la presenza o meno di infezioni, flogosi,
distrofie cutanee o secrezioni, l'alterato trofismo muscolare e la concomitante
osteo-artro-neuro-patia (quindi le limitazioni dell'attività fisica), finanche
la componente psicologica depressiva dello stesso paziente, costituiscono tutti
dei fattori con cui confrontarsi giornalmente nell'eseguire un bendaggio per un
linfedema di un arto.
L'esperienza dell'operatore gioca in definitiva un ruolo predominante, sia in
termini di buon confezionamento del bendaggio, sia in termini di duttilità professionale
e mentale verso le varie possibilità terapeutiche in simili pazienti provati da
una patologia così invalidante qual'è il linfedema.
POSSIBILITA' E LIMITI DEL BENDAGGIO NEL LINFEDEMA
Nel corso degli ultimi decenni si sono succeduti numerosi studi finalizzati all'approfondimento
delle basi fisiopatologiche e degli effetti propri della metodica del bendaggio
elastocompressivo (e dei tutori elastici).
Attraverso molteplici metodologie diagnostiche cliniche e strumentali si è così
potuto comprovare tutta una serie di basi razionali del trattamento compressivo
mediante bendaggi nell'ambito della flebo-linfologia, nonchè in differenti altri
campi della medicina (fisiatria, ortopedia, chirurgia, dermatologia).
Non è quindi necessario riproporre i dati scientifici acclaranti la efficacia
di questa forma di terapia nel linfedema, ma piuttosto è possibile riassumere
con semplicità le risultanze di queste sperimentazioni, sulla base anche della
propria esperienza personale nella gestione di pazienti affetti da tale patologia.
Il bendaggio in generale è in grado di ottenere determinati risultati, sulla scorta
della sua azione multipla a livello del fascio vascolare, della componente interstiziale
degli strati cutanei e sottocutanei, con valenze importanti anche sulla funzionalità
dell'apparato osteo-artro-muscolo-ligamentoso dell'arto.
Più in dettaglio, attraverso numerosi studi si è evidenziata una vasta gamma di
effetti attribuibili all'azione meccanica esercitata dalla compressione mediante
bendaggio nella patologia linfostatica. Elenchiamo qui di seguito quelli più significativi.
Innanzitutto l'effetto principale sull'edema iperproteico è costituito dall'incremento
della pressione interstiziale, frutto dell'ovvia contropressione esercitata ab
estrinseco sugli strati superficiali e profondi dei tessuti dell'arto. Questo
mutamento pressorio viene ad alterare il passaggio dei fluidi intra-extravasali
a livello microcircolatorio-tissutale, favorendo il recupero di proteine e liquidi
nel versante endocapillare (ematico e linfatico) e impedendone (o riducendone)
lo stravaso; tutto questo riequilibrio di forze chimico-fisiche segue la famosa
ipotesi di Starling (aggiornata da Landis-Pappenheimer), per cui il tessuto sottoposto
a bendaggio si oppone all'edema. D'altronde nel linfedema le lesioni delle fibre
connettivali degli strati cutanei e sottocutanei inducono un ciclo vizioso edemigeno
(la pressione interstiziale tende a mantenersi bassa), che con la metodica della
elastocompressione può essere combattuto.
Stemmer (6) evidenzia anche l'utilità della traslazione di fluidi operata dal
bendaggio in direzione centrale, cioè là dove ipoteticamente le vie linfatiche
possono meglio riassorbire la quota stagnante (almeno nella maggior parte dei
linfedemi primitivi), eventualmente con l'ausilio del D.L.M. Allo stesso modo
è stata diffusamente dimostrata una azione pro-linfocinetica della compressione,
mediante l'azione delle pompe muscolari e la induzione della miocontrattilità
intrinseca dei linfangioni, che sono in grado di propellere la linfa con un processo
di riempimento progressivo sino allo svuotamento riflesso.
I collettori linfatici maggiori (decorrenti prevalentemente nel versante mediale
e sovra-aponeurotico dell'arto) risultano anch'essi influenzati dalla elastocompressione
in corso di esercizio fisico: difatti in fase di diastole muscolare tendono a
riempirsi, mentre sono coadiuvati nel loro svuotamento dalla sistole muscolare.
Fra gli effetti propri di questa metodica sono stati riportati anche: un incremento
della fibrinolisi intra-extravasale (di un certo rilievo nell'edema linfatico
avanzato, fibrotico), un aumento della temperatura cutanea al di sotto delle bende,
favorente il drenaggio linfatico secondo molti autori (7), nonchè un importante
incremento della velocità di flusso nel circolo venoso sovra-sotto-aponeurotico.
Mediante bendaggio il circolo venoso profondo e superficiale dell'arto inferiore
può da un lato recuperare (non sempre completamente o significativamente) la continenza
valvolare, ma soprattutto viene sottoposto ad una migliore azione di pompa muscolo-vascolare,
con un notevole aumento del drenaggio ematico centripeto (soprattutto in corso
di esercizio fisico).
Il linfedema, lo si è già detto, spesso coesiste con una quota di edema da stasi
venosa, oppure è parte integrante di una flebopatia ostruttiva e/o da reflusso
(sindrome post-trombotica, angiodisplasie quali la sindrome di Klippel-Trenaunay,
per esempio). La sovracitata serie di azioni del bendaggio sul versante venoso
non può quindi che aiutare a raggiungere l'omeostasi microvasculo-tissutale perduta.
Si sottolinea ancora una volta la possibilità di coadiuvare, mediante tale tecnica,
anche la mobilizzazione muscolo-legamentosa ed articolare, contribuendo così in
modo fattivo al drenaggio flebo-linfatico.
Si è visto, infatti, come i vari piani tissutali in movimento fra loro e la compressione
del fascio vascolare contro la benda ipo-inestensibile e/o contro l'aponeurosi
(anch'essa inestensibile), siano in grado di accelerare il deflusso della linfa.
Un ultimo, apparentemente banale, ruolo della compressione elastica (anche mediante
calze o bracciali) è quello esercitato sulla protezione dell'arto malato.
E' notorio che una pur minima lesione cutanea (graffio o morso di animali, micro-macro-traumi
contusivi, escoriazioni-abrasioni ecc.) in un arto linfedematoso, è in grado di
provocare un importante aggravamento della stasi e, cosa ancora peggiore, l'insorgenza
di linfangiti o erisipele estremamente deleterie per il già precario equilibrio
emo-linfodinamico dell'arto.
Ogni flogosi-infezione è fonte di nuova, peggiorativa fibrosi, con una sorta di
strangolamento dei già pochi linfangioni funzionanti. Dunque la protezione meccanica
esercitata dal bendaggio è un aspetto di non poco conto nella cura di un arto
affetto da stasi flebo-linfatica...
In definitiva l'azione decongestiva propria di questa metodica terapeutica è parte
integrante del ciclo fisico-riabilitativo nel linfedema, potendo mantenere e potenziare
i risultati del D.L.M. e della P.S. Temporalmente il bendaggio dovrebbe intervenire
non appena si sia potuto ridurre, almeno parzialmente, la eventuale fibrosi dell'arto,
quindi subito dopo le primissime sedute di linfodrenaggio manuale e pressoterapia
(quando indicata).
Inevitabilmente anche questa tecnica presenta dei limiti e degli effetti collaterali.
I limiti principali risiedono ad esempio nella opposizione psicologica da parte
del paziente ad una tale sovrastruttura che, soprattutto se multi-strato come
nel linfedema avanzato, può assumere connotati di anti-esteticità e visibilità
tali da poter affliggere psicologicamente il/la malato/a, più dell'infermità stessa.
Talora una simile compressione viene anche rifiutata su base psico-patologica
("claustrofobia"), o la stessa è meccanicamente poco conseguibile per arti francamente
dismorfici, affetti da limitazioni funzionali importanti.
La durata del bendaggio costituisce un ulteriore aspetto limitativo di rilievo:
va mantenuto per le ore diurne quello amovibile, o per alcuni (2-15 ?) giorni
in caso di bendaggio fisso. In caso di bendaggio amovibile vi è la necessità di
riconfezionarlo tutte le mattine, il che comporta un dispendio di tempo ed energie
da parte del personale medico o paramedico. L'alternativa costituita dalla collaborazione
dei familiari per il rinnovamento dello stesso contiene intrinseche caratteristiche
di mal-pratica, se non di rischio, soprattutto nel caso di linfedema. Il bendaggio
fisso, invece, "nasconde" la cute dell'arto per un certo tempo, perde pressione
nel corso dei giorni (come documentato da alcuni studi), ma risulta più pratico
da utilizzare e comunque garantisce una sicura efficacia nelle sue finalità.
Senza dilungarci su questi aspetti, peraltro già trattati nel testo, ogni singolo
medico o terapista può modulare tale scelta (bendaggio fisso o mobile) sul tipo
di linfedema, sulla realtà socio-organizzativa del paziente e... su quella...
propria... (ospedaliera o ambulatoriale ?).
A prescindere dai numerosi meriti del bendaggio elastocompressivo, è possibile
a questo punto comunque ribadire un concetto a nostro avviso importante: una tale
forma di trattamento si limita a prendersi carico dell'esito (non della causa)
di una patologia organica o funzionale delle vie linfatiche, senza poter ripristinare
lo stato di normalità a carico del sistema linfatico.
Da quanto fin qui enunciato si può evincere come al bendaggio, che mira ad ottenere
in prima battuta un determinato risultato (insieme agli altri presidi già enunciati),
debba seguire il tutore elastico che può meglio conservare questi risultati nel
tempo; di fatto una terapia cronica di mantenimento (nei mesi o negli anni) mal
si presterebbe al susseguirsi di pratiche così articolate, quali quelle necessarie
per bendaggi seriati .
Questa metodica terapeutica, come già esposto in altre parti del testo, presenta
delle controindicazioni, quali coesistenza di infezioni locali , arteriopatie
significative degli arti inferiori o superiori, lesioni neoplastiche in situ e
condizioni analoghe. Nell'ambito linfologico potremmo aggiungere la presenza di
una linforrea e la degenerazione neoplastica del linfedema stesso.
Gli effetti collaterali principali nel paziente affetto da linfedema possono essere:
il dolore, l'ischemizzazione, l'allergia cutanea e le lesioni da decubito.
Un bendaggio non deve mai essere da subito doloroso; per cui è bene riconfezionarlo
ab initio se il paziente riferisce tale sintomatologia algica a riposo, o con
il movimento. Quando il dolore compare successivamente, risulta limitato, sostanzialmente
metodica-compatibile, spesso la semplice sopraelevazione dell'arto migliora questo
sintomo (ancor più l'esercizio fisico) . Distinguere fra questa sintomatologia
minore e quella realmente espressione di una intollerabilità assoluta del dispositivo
compressivo, è un aspetto molto utile dal punto di vista pratico, per evitare
eccessivo allarmismo e, peggior rischio, facili sottostime di quanto il paziente
ci rivela.
Sulla possibile ischemia già sono state precisate le nozioni più importanti (la
controindicazione costituita da una macro-micro-arteriopatia dell'arto impone
un esame clinico e, al bisogno, almeno doppler c.w.), per cui il pallore, la cianosi
delle dita e lo stesso dolore, sono segni da considerare con attenzione in corso
di pratica di bendaggio nel linfedema (ed ovviamente in generale).
La possibilità di un'allergia al materiale utilizzato è reale, soprattutto se
si utilizzano bende contenenti ossido di zinco; va quindi tenuta presente e combattuta,
ma soprattutto prevenuta (anamnesi positiva per episodi analoghi, allergie ai
metalli ecc.).
Una pratica non corretta di bendaggio (soprattutto), o una conformazione atipica
dell'arto, unita all'esecuzione di traumatismi ripetuti localizzati, per esempio
professionali, o flessioni, torsioni frequenti di segmenti d'arto, possono contribuire
alla formazione di lesioni da decubito, per lo più bollose, ischemizzazioni parcellari
di cute e sottocute, con possibili effetti di "strangolamento" di determinate
zone (effetto"laccio").
APPLICAZIONI PRATICHE NEL LINFEDEMA DEGLI ARTI
Il confezionamento di un bendaggio elastocompressivo per un arto linfedematoso
può discostarsi un poco dalla tecnica di esecuzione tipica nell'ambito delle flebopatie.
Ci limiteremo quindi a fornire alcuni cenni sulla tecnica e sui materiali utilizzabili,
nell'ottica di una impossibilità di una standardizzazione di tale metodica e,
soprattutto, di una necessaria esperienza teorico-pratica da parte dell'operatore.
La corretta esecuzione di questa forma di compressione nella stasi linfatica presuppone
infatti un baglio culturale ed una manualità sicura in chi affronta queste patologie,
sia per ottimizzare i risultati con essa conseguibili, sia per evitare approssimativi
e controproducenti trattamenti.
Il tipico bendaggio multistrato per linfedema si basa su una protezione iniziale
della cute con tubulare di garza o, meglio, con una benda porosa di schiuma di
poliuretano; così facendo si impediscono contatti diretti fra il materiale compressivo
e l'arto stesso. Al di sopra di questo primo strato è possibile posizionare uno
strato di materiale da sottobendaggio, avente un suo spessore ed una sua comprimibilità
(non eccessiva....). Citiamo ad esempio la gommapiuma, il lattice, il cotone idrofilo
denso (quest'ultimo non adatto se sono presenti essudazioni, sierosità di rilievo
che ne alterano il volume), tutti collocabili a strati sovrapposti o in un singolo
strato e secondo disposizioni variabili. L'ultimo strato (o gli ultimi strati)
del bendaggio è costituito dalla benda elastica vera e propria. Solitamente si
utilizzano bende anelastiche od a corta estensibilità (raramente a media estensibilità),
al fine di potenziare la compressione e di renderla tollerabile 24 ore/die. In
genere si può apporre una benda (preferibilmente elastoadesiva) in un solo strato,
potendo però essere possibile l'applicazione ulteriore di una seconda benda, con
direzione di svolgimento inversa rispetto a quella più profonda. Tale opzione
viene presa in considerazione in base all'entità e la consistenza dell'edema.
Nel momento in cui si scelga un bendaggio di tipo fisso, è consigliabile l'utilizzo
di una benda adesiva elastica (ad estensibilità del 70% circa), con supporto in
cotone e massa adesiva stratificata in modo da lasciare liberi i margini (si riduce
in questo modo il rischio di effetto "laccio") .
La singola benda viene solitamente applicata con una tensione varia (nulla per
le bende anelastiche, maggiore per quelle elastiche, pur mai elevata ), che deve
essere comunque maggiore alla base delle dita del piede, o della mano, proseguendo
poi in direzione prossimale possibilmente a muscolatura dell'arto decontratta.
Il verso di svolgimento del bendaggio dovrebbe sempre essere dalla parte mediale
del piede verso quella laterale, tranne che per arti affetti da piede cavo, valgismo
dell'articolazione tibio-tarsica con eccessiva pronazione del piede stesso.
E' possibile eseguire il bendaggio secondo varie modalità di avvolgimento dell'arto.
Per i dettagli tecnici vi rimandiamo ovviamente ai capitoli iniziali. L'ascensione
lungo la gamba o la coscia da parte della benda può in genere essere di due tipi,
definiti "a spirale" e "a spina di pesce" (cioè "ad otto"), avendo cura di raggiungere
sempre il limite inferiore del ginocchio per il bendaggio di gamba e l'inguine
per quello di tutto l'arto. E' d'altronde possibile fissare il bendaggio alla
radice della coscia mediante uno o più giri della benda che inglobino la cresta
iliaca omolaterale e quindi la porzione bassa lombare e dell'addome.
Nell'ambito della linfostasi è comunque possibile realizzare, al bisogno, un bendaggio
elastocompressivo con un numero minore di strati. D'altronde spesso condizioni
logistiche e contingenti molto diffuse impongono una simile condotta; sarà allora
sufficiente, a nostro avviso, utilizzare una protezione dell'arto, in caso di
bendaggio adesivo fisso, con del materiale da sottobendaggio sovrapposto e mirato
secondo necessità, ed infine la benda elastica quale strato più superficiale.
In caso di utilizzo specifico di una benda impregnata all'ossido di zinco, questa
dovrà essere applicata con l'accortezza di tagliarla in strisce o, più comodamente
e correntemente, srotolandola lasciando una sua porzione sovrapposta ad ogni giro.
Questo accorgimento evita solchi costrittivi dovuti all'essiccamento e messa in
tensione della stessa benda, possibile con il passare dei giorni.
Le ottime proprietà di simili bende all'ossido di zinco (ad azione anti-flogistica,
anti-eczematosa, disinfettante), rendono ragione del loro utilizzo in arti linfedematosi
affetti da dermoipodermiti, distrofie cutanee di vario tipo (eczemi, ulcerazioni
vere e proprie), linfangiti, o patologie venose quali varicoflebiti.
Per quanto concerne il bendaggio dell'arto superiore, tipicamente per linfedema
post-chirurgico e/o post-radioterapia, la sua tecnica di esecuzione presenta delle
peculiarità, soprattutto in termini di avvolgimento delle bende.
Innanzitutto il primo tempo del bendaggio è costituito dall'applicazione di una
benda di garza o schiuma di poliuretano sulle dita e sulla mano (senza esercitare
particolare tensione), a protezione e leggera compressione delle parti interessate.
Il resto del confezionamento del bendaggio prevede una successione di strati più
o meno simili a quelli già esposti sopra.
Nel bendare le dita, solitamente si inizia dal dorso della mano, proseguendo poi
con l'avvolgimento del I dito due volte, quindi il 2° dito, ritornando ad avvolgere
il polso, e così di seguito per le altre tre dita (dopo ogni avvolgimento del
singolo dito si ritorna sempre al polso). La compressione delle dita viene eseguita
( o non eseguita) in accordo con lo stato di maggiore o minore edema di queste
porzioni anatomiche.
Una volta completata la mano, si può risalire con la stessa benda verso la radice
del braccio, a spirale o, meglio, a spina di pesce. Al di sopra di questo primo
strato protettivo è possibile, a questo punto, posizionare un abbondante strato
di cotone lungo tutto l'arto (conformato a misura e secondo le esigenti contingenti);
il bendaggio viene infine completato mediante il collocamento di uno o due strati
di bende a corta estensibilità, srotolate con limitata tensione e con la dovuta
attenzione lungo tutto l'arto, a partire dal dorso della mano. Si è soliti utilizzare
bende di una altezza ridotta (per esempio 5 cm) per le dita della mano (o del
piede quando necessario), mentre si opta per bende di 8-10 cm di altezza per il
resto dell'arto. Altezze maggiori possono essere necessarie solo per arti estremamente
voluminosi, o per inclusioni dell'addome o del torace nella parte terminale del
bendaggio.
In seguito al progressivo miglioramento del quadro edematoso in corso di terapia,
si dovrà di volta in volta rimodellare il bendaggio, multistrato o monostrato
che sia, al fine di renderlo sempre coerente con l'entità dello stato di imbibizione
dei tessuti.
Viene a questo punto da chiedersi qual'è la pressione ottimale di un bendaggio
per linfedema .... Un range di pressione omnicomprensivo potrebbe essere inteso
fra i 10 mm di mercurio a riposo e i 50 mm in corso di contrazione muscolare (in
periferia), ma tale affermazione si configura come un "pericoloso" dogma, il che
non è pertinente in linfologia, nè tipico dell'attitudine mentale di chi scrive.....
Come correttamente afferma Cluzan, è importante ricercare "l'equilibrio fra l'efficacia
sul drenaggio della pompa iniziale dei collettori e l'assenza di costrizione capillaro-linfatica,
propria di un bendaggio troppo serrato". Non è quindi possibile, nè corretto,
affidarsi ad una pressione univoca per il bendaggio nel linfedema, essendo ogni
singolo paziente una entità fisiopatologica e clinica peculiare.
CONCLUSIONI
In definitiva la terapia elastocompresiva mediante bendaggio costituisce una grande
possibilità di trattamento per la patologia linfostatica degli arti, sia per gli
innegabili effetti positivi, che per la sua grande fruibilità (addirittura da
parte dello stesso paziente....).
L'ottica attuale di un approccio terapeutico globale ed integrato per il linfedema,
rende imprescindibile l'inserimento del trattamento mediante bendaggio all'interno
di un protocollo canonizzato e multiarticolato.
I risultati conseguibili con i singoli bendaggi nell'ambito dell'arto edematoso
per patologia flebo-linfostatica sono certamente di grande valore, ma il sinergismo
con varie metodiche combinate (quali il D.L.M., la P.S., la fisiokinesiterapia
riabilitativa anti-stasi, la cumarina in polvere e per os, le calze o i bracciali
elastici ) rendono questa tecnica fisioterapica ancora più potente, efficace e
produttiva a breve-lungo termine.
Con un pizzico di enfasi, sulla base anche dell'esperienza quotidiana con queste
affezioni, potremmo dire che nel linfedema degli arti il poter disporre dell'arma
terapeutica costituita dal bendaggio, ci permette di rispondere con maggiore compiutezza
e capacità risolutive alle esigenze di pazienti cronicamente bisognosi di attenzioni
particolari, spesso affetti da sconfortanti recidive o peggioramenti della loro
patologia.
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